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La legge prevede espressamente che il donante possa riservarsi la facoltà di disporre di qualche oggetto compreso nella donazione o di una determinata somma sui beni donati (art. 790 c.c.).
Si tratta di una norma poco conosciuta, le cui applicazioni nella pratica risultano piuttosto limitate, ma che si presta ad essere utilizzata per soddisfare una specifica esigenza del donante.
La dottrina ha evidenziato come le due ipotesi previste dal legislatore rappresentino in realtà due diverse situazioni.
La riserva di disporre di “qualche oggetto compreso nella donazione”, ovvero uno o più beni tra quelli donati, è considerata una donazione sottoposta, per una parte dei beni che ne sono oggetto, a una condizione risolutiva meramente potestativa (cioè rimessa alla pura e semplice volontà del donante), eccezionalmente valida perché prevista espressamente dalla legge, in deroga alla disciplina generale. Il donante, dunque, può riservarsi di disporre, cioè di riprendersi, uno o più beni tra quelli donati, che si ritiene debbano essere specificamente individuati nell’atto di donazione. Trattandosi di norma eccezionale, che fa riferimento solo ad alcuni dei beni donati, si ritiene che la riserva non possa avere ad oggetto tutti i beni donati, perché ciò consentirebbe al donante di revocare a propria discrezione la donazione, e ciò non è ammesso dal nostro ordinamento giuridico. Anche una riserva avente per oggetto quasi tutti i beni donati è considerata nulla in quanto negozio in frode alla legge.
La riserva di disporre di “una determinata somma sui beni donati” è considerata invece una donazione con onere a carico del donatario, sottoposto a condizione sospensiva meramente potestativa (cioè rimessa alla pura e semplice volontà del donante), anche in questo caso eccezionalmente valida perché prevista espressamente dalla legge, in deroga alla disciplina generale.
Il donatario, infatti, accettando la donazione, assume l’obbligo di versare al donante una somma di denaro, in seguito alla semplice richiesta di quest’ultimo. Si ritiene che la somma di denaro non debba necessariamente essere stata oggetto della donazione. Il donatario, dunque, potrebbe anche essere tenuto a versare una somma di denaro che non ha ricevuto in donazione. Trattandosi di un onere, la somma da versare non può eccedere il valore di ciò che è stato oggetto di donazione. Il donatario, infatti, è tenuto all’adempimento dell’onere entro i limiti del valore della cosa donata (art. 793 c.c.).

Notaio Paolo Tonalini
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La vendita di un terreno edificabile da parte di un imprenditore agricolo è soggetta a Iva se il bene è utilizzato per l’attività agricola. Lo afferma il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in una risposta fornita il 19 gennaio 2017 nella commissione Finanze della Camera dei Deputati.
L’Agenzia delle Entrate sostiene da tempo che la vendita di un terreno edificabile appartenente ad una impresa agricola è soggetta a Iva se il terreno è stato precedentemente destinato alla produzione agricola (risoluzioni 137/E/2002, 54/E/2007, 106/E/2008 e circolare 18/E/2013).
Secondo questa interpretazione, dunque, il terreno edificabile venduto da un imprenditore agricolo è soggetto a Iva se, pur essendo suscettibile di destinazione edificatoria è stato comunque coltivato. L’applicazione dell’Iva potrebbe forse essere evitata dimostrando che il terreno, una volta divenuto edificabile, non è stato più coltivato, per esempio in quanto sono state iniziati lavori per la sua lottizzazione.
Ricordiamo però che la Corte di Cassazione, che in precedenza condivideva questa interpretazione, più recentemente ha affermato che il terreno divenuto edificabile perde la qualità di bene strumentale dell’impresa agricola e pertanto non è soggetto a Iva ma a imposta di registro (Cass. 9 aprile 2014, n. 8327 e Cass. 6 giugno 2016, n. 11600).

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